Intervista con Giuseppe De Santis – Presidente IDO

przez bedy

Ha studiato Economia presso l’Università degli Studi di Bari, presidente dell’Organizzazione International Development Organization, si occupa di cooperazione internazionale e da anni partecipa attivamente a diversi progetti internazionali co-finanziati da vari programmi dell’Unione Europa, ma anche da altre istituzioni locali italiane.
Rafał Bednarski: Buongiorno! Potresti dirmi di cosa si occupa esattamente l’organizzazione che tu presiedi?

Giuseppe De Santis: Buongiorno a te! L’organizzazione di cui sono il presidente, si chiama IDO che è un acronimo e sta per International Development Organization.

 

Intanto la storia del nome. Visto che ci avrebbe identificati,i la sua genesi non è stata per così dire immediata. Avevamo a disposizione un ventaglio di nomi, ciascuno dei quali era stato proposto da quelli che poi sarebbe stati i soci fondatori. Il che avveniva circa quattro anni fa.

Alla fine abbiamo scelto IDO tra la pletora di nomi che erano stati proposti, sia perché sintetizzava quello di cui ci volevamo occupare: sviluppo e cooperazione internazionale, ma anche perchè in inglese suona come la frase „I do”! che non solo evoca l’azione, ma ci sembrava bene augurante.

R.B.: Quindi mi pare di capire che il core della vostra attività sia la cooperazione allo sviluppo? Mi potresti specificare meglio cosa fate esattamente?

G. D. S.: Sì, intanto vorrei però aggiungere che poi IDO è stata fondata esattamente tre anni fa, dopo una gestazione che è durata circa un anno. Ci occupiamo di cooperazione internazionale anche se non in senso stretto. Nel senso che spesso ci siamo trovati ad occuparci di questioni e tematiche che solitamente non sono attribuibili tecnicamente alla cooperazione internazionale, ma per così dire, si è trattato di progetti che hanno visto il coinvolgimento di partner internazionali. Del resto è una scelta obbligata se si intende sottoporre i progetti alla valutazione dell’Unione Europea che, attraverso i vari programmi, poi eventualmente li finanzia.


R.B.:
Quindi IDO è nata tre anni fa. Dove si trova esattamente la sede operativa e chi sono i suoi soci?

G. D. S.: Sì, IDO è nata tre anni fa a Bari, in Puglia, nel tacco dello stivale, per chi non conoscesse dove si trova esattamente Bari. Il secondo centro del Sud Italia, per numero di abitanti, dopo Napoli, isole escluse altrimenti bisognerebbe considerare Catania e Palermo che sono più grandi di Bari. Per fare un esempio con la Polonia, ha circa le dimensioni di Szczecin o di Bydgoszcz anche se l’intera provincia conta circa un milione e mezzo di abitanti.

Per quanto riguarda i soci invece, l’idea iniziale era già in nuce nella mia mente ormai da tempo. Avevo avuto già esperienze di questo tipo, collaborando con organizzazioni simili a quello che è ora IDO, ma da soli non è possibile intaprendere queste iniziative. È sempre necessario trovare qualcuno con cui condividere un certo cammino. Così quando ho trovato delle persone che, come me, erano affascinate da questa idea e che, come me, avevano avuto in passato esperienze simili, allora ha cominciato a prendere corpo IDO, prima come idea e poi come un fatto compiuto. I soci fondatori erano, meglio eravamo, in sette e poi cammin facendo abbiamo coinvolto altre persone, ma anche istituzioni, allargato il partneriato ad altre organizzazioni e anche abbiamo aderito ad altre reti di organizzazioni che già operavano a livello internazionale.


R.B.:
Da quello che mi è parso di capire operate nel settore del Non-Profit. In questi tre anni a che tipo di progetti avete preso parte e quali sono stati i vostri partner?

G. D. S.: Senza dubbio IDO è una organizzazione Non-Profit. Questo era il nostro intento sin dal principio. Oltretutto questo status ci ha anche avvantaggiato per esempio per quanto riguarda la sede. Grazie ad un protocollo d’intesa con il Consiglio Regionale della Regione Puglia, abbiamo potuto ottenere la nostra sede operativa all’interno di una struttura che dipende dallo stesso Consiglio Regionale e che si chiama Teca del Mediterraneo. Non un grande spazio, ma questo ci consente di avere un rapporto privilegiato con una istituzione così importante. Questo fatto riveste una importanza strategica in quanto, soprattutto nella programmazione dei fondi strutturali del settennio che va dal 2007 al 2013 si insiste sulla rilevanza del coinvolgimento dei cosiddetti „Policy Maker”.
Per quanto riguarda i progetti invece, devo dire che nei primi tre anni di vita siamo stati molto attivi e abbiamo fatto molta animazione a livello territoriale sulle tematiche della cooperazione internazionale. Abbiamo coinvolto in diversi progetti moltissimi partner. Anche se non tutti i progetti sono poi stati finanziati, in ogni caso, il meccanismo innescato, ci ha permesso di entrare in contatto con un altissimo numero di istituzioni, organizzazioni, persone. Abbiamo accumulato esperienza e, attraverso i progetti finanziati, abbiamo avuto anche molte soddisfazioni.Abbiamo iniziato con un progetto fatto proprio in partnernariato con la Teca del Mediterraneo, che era stato finanziato dal Programma chiamato Interreg Italia-Grecia. Un progetto di carattere culturale, che riguardava la costituzione di un archivio musicale comune ai due Paesi coinvolti, attingendo alle comuni tradizioni delle due regioni finitime, separate solo da un lembo di mare.

Poi c’è stato un progetto sui diritti delle minoranze che ha visto il coinvolgimento di stati non solo europei, ma anche al di fuori dell’Europa. In questo progetto sono state coinvolte organizzazioni e iestituzioni italiane: IDO, un’altra organizzazione di Bari che si occupa di mediazione familiare e culturale, il Ministero di Grazia e Giustizia Italiano. Per l’Europa c’erano: la Repubblica Ceca, la Spagna e la Turchia (che è uno degli stati che entreranno a far parte dell’Unione Europea, così come prevede la politica di allargamento). Fuori dall’Europa, c’era l’India, la Costa d’Avorio e la Mauritania.
Il problema delle minoranze è di grandissima attualità in questo momento, soprattutto in Italia dove recenti fatti di cronaca hanno innescato molte polemiche sulla presenza di Rom nel nostro territorio. Ma sicuramente il problema delle minoranze è presente in tutti i Paesi del mondo.

R.B.: Diciamo che operate in maniera abbastanza trasversale rispetto ai settori in cui intervenite. Il comune denominatore è l’aspetto internazionale, è così.

G. D. S.: Sì è così. Nella fase iniziale soprattutto dovevamo in qualche maniera trovare una nostra identità. Abbiamo oltre a questo deciso di aderire a delle reti internazionali. Siamo per esempio membri della rete Anna Lindh, una organizzazione che conta circa 2000 membri oltre che nei 27 Paesi aderenti all’UE anche in Paesi del Nord Africa e del Vicino Oriente.

Questa organizzazione si occupa di dialogo interculturale. Anche in questo settore siamo stati presenti con alcune iniziative. Una fra tutte che ci ha dato notevoli soddisfazioni si chiama „Taste my Culture” che ci ha consentito di far conoscere le varie minoranze presenti nella provincia di Bari attraverso la cucina. Forse non esiste un linguaggio più universale di questo: incontrarsi e conoscersi attraverso il cibo. Ogni Paese aderente all’iniziativa doveva proporre un paio di piatti tipici da condividere con gli altri e poi di tutto questo abbiamo anche fatto una pubblicazione. Ovviamente anche la Polonia era rappresentata con due ricette molto popolari: bigos e gołąbki.


R.B.:
Mi pare un’ottima idea, ma parlami dei progetti che hanno coinvolto la Polonia. Ho notato che il vostro sito internet, che, lo ricordiamo, è www.idonet.org, oltre ad avere la lingua inglese di default, ha anche una versione italiana e una polacca. Come mai questa scelta?

G. D. S.: Beh la Polonia è un discorso a parte. Qui, almeno per me, entrano in gioco aspetti professionali, ma anche personali.


R.B.:
Come mai?

G. D. S.: Personali, perché i miei primi contatti con la Polonia, sono precedenti alla nascita di IDO. La prima volta che sono venuto in Polonia è stato circa cinque anni fa. Dovevo andare a Szczecin. Atterrai a Berlino e in auto arrivai a Szczecin. Allora la Polonia non faceva ancora parte dell’Unione Europea e fui molto colpito dalla fila di TIR alla frontiera tra Germania e Polonia. Non vorrei esagerare ma credo fosse lunga davvero diversi chilometri. Ho riattraversato quella stessa frontiera alcuni mesi fa. Mi ha fatto una certa impressione vedere il confine senza addirittura nessun militare visto che nel frattempo la Polonia ha anche aderito a Schengen. Dopo di allora sono venuto in Polonia moltissime volte e ho anche deciso di studiare la lingua.

 

R.B.: La lingua polacca non è una delle più facili. Immagino le tue difficoltà.

G. D. S.: Sì non è facilissima. Ci sono cose particolarmente ostiche per me, come l’aspetto dei verbi e le declinazioni. Ma ci vuole tempo, esercizio e perseveranza, come per quasi tutte le cose del resto.
Ma per rispondere alla tua domanda di prima, la città di Bari ha un legame storico con la Polonia per merito di uno dei personaggi più rappresentativi della storia della Polonia. Parlo della regina Bona Sforza che al tempo del suo regno era contemporaneamente Duchessa di Bari. Morì proprio a Bari ed è poi stata seppellita nella Basilica di San Nicola, dove tuttora sono custodite le sue spoglie.
Ma oltre a questa considerazione culturale e storica ce ne sono state anche altre che ci hanno fatto pensare alla Polonia come ad un partner preferenziale. Considerazioni di carattere economico, di affidabilità, di posizione geografica, ecc.
In questi anni abbiamo avuto contatti con diverse istituzioni che partono dall’Ambasciata Polacca in Italia, con la quale insieme alla Camera di Commercio di Bari abbiamo organizzato un anno fa una conferenza dal titolo „Opportunità di affari in Polonia” in cui erano presenti molti imprenditori pugliesi. Ma anche abbiamo avuto contatti con molte camere di commercio polacche, con camere di commercio bilaterali, con alcune università polacche, con alcuni Voivodati, con organizzazioni che si occupano di cultura, ecc.

 

R.B.: Bene, credo che adesso tutti noi conosciamo un po’ meglio la vostra organizzazione. Come conclusione di questa intervista vorrei augurarti buon lavoro e spero che possano, anche attraverso di voi, aumentare le possibilità di collaborazione tra i nostri Paesi. Grazie.

G. D. S.: Lo spero anche io e sono io che devo ringraziare te per l’opportunità che ci hai dato per far conoscere meglio IDO.

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